Via Patrioti, 5 23034 Grosotto (SO)

Nel corso del Quattrocento i Grigioni premono da nord per avere il controllo dei passi e conquistare la Valtellina, terra rinomata per il suo vino, corridoio verso il lago e la pianura padana.

Nel 1486 fanno irruzione in Chiavenna, mettendola a ferro e fuoco; l’anno successivo da Livigno raggiungono il contado di Bormio e da lì calano lungo la valle, disseminando distruzione. Armati da gran fede, i Grosottini si affidano alla protezione della Vergine e vanno incontro all’esercito elvetico che, risparmiando il borgo, prosegue oltre. In segno di gratitudine viene subito decisa la costruzione di una chiesa, consacrata nel 1490 e destinata a rappresentare un polo di spiritualità mariana di ampio richiamo. 

L’edificio della prima ora non esiste più, salvo pochi muri inglobati nella ricostruzione di età barocca. È invece sopravvissuta la statua della Madonna col Bambino scolpita da Giacomo Del Maino, venerata per secoli sull’altare maggiore e ora custodita in una cappella laterale. 
I numerosi ex voto, esposti agli ingressi secondari e dietro l’altar maggiore, sono tangibile espressione dell’intensità della devozione popolare. 

Il nuovo santuario, eretto tra il 1609 e il 1664 su progetto del capomastro ticinese Gaspare Aprile da Carona, è un compiuto esempio di chiesa controriformata ad aula unica, piatte cappelle laterali e presbiterio quadrato. La facciata è slanciata; i volumi compatti, segnati agli angoli da pilastri in pietra verde locale, la stessa adoperata per porte finestre cornicioni, e per innervare il campanile. Internamente, la nitidezza dell’involucro concede massimo risalto agli arredi lignei. 

Nel presbiterio, la monumentale ancona (1673-80) supera i 10 metri di altezza e si segnala per il gran numero di statue. È considerata il capolavoro di Pietro Ramus, titolare di una rinomata bottega con sede in Valcamonica ma molto attiva anche in Valtellina.  
Sopra l’ingresso laterale di sinistra è collocata una cassa d’organo di squisita fattura, avviata nel 1706 dal bresciano Paolo Scalvini che vi lavora un paio d’anni e poi si dilegua. Superato lo sconcerto, i fabbricieri nel 1713 si affidano a Giovan Battista Del Piaz, raffinato scultore trentino ormai accasato in Valtellina.

Le cappelle sono chiuse da eleganti cancellate e gli altari sono quasi tutti finti, ovvero dipinti a parete tra cascate di fiori (1764). L’effetto illusionistico prosegue sulle volte, aperte verso cieli azzurri popolati da schiere angeliche: scenografico inno alla Madonna Assunta eseguito nel primo dopoguerra dal valtellinese Eliseo Fumagalli di Delebio (1921-22).